Erebel
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Primo ingresso in Numenor: 2002-08-14
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Sono tornata al cinema a vedere Superman returns con aspettative da una parte molto alte, dall'altra meno. Il Superman di Donner del '78 è un film che porto nel cuore da sempre, che da bambina mi colpì moltissimo, ma senza capirne a fondo la ragione. Sebbene ami molto Bryan Singer, il timore di veder fallire la sua missione di riportare in modo efficace l'uomo d'acciaio sullo schermo era presente. Di certo non mi aspettavo minimamente quello che è successo. Fin dalle primissime scene ho capito che questa nuova opera era un chiarissimo omaggio a Donner e Reeve, e già per questo meritava la mia stima e la mia attenzione. Ma ben oltre questo, Singer è riuscito, forse persino più del predecessore, a raccontare l'uomo Superman. E lo fa anche grazie ad un magistrale Brandon Routh, che con la sua espressività riesce a trasmettere dolcezza e forza ad un personaggio certamente non facile da raccontare. Ed ecco che, dopo poco, mi perdo completamente nel film, nelle toccanti danze aeree di Kal-El, nel suo osservare dall'alto una civiltà operosa e incasinata che non è la sua, ma che lui comprende e ascolta completamente. Sono accanto a lui, mi pongo i suoi dubbi, respiro i suoi desideri, e d'un tratto...sono lui. Sono un alieno, ultimo superstite di una civiltà distrutta, figlio di persone più illuminate delle altre, profondamente spirituali e altruiste, ma che mi hanno abbandonato. Mi trovo in un mondo che non è il mio, dove nessuno mi comprende veramente, e dove sono costretto a recitare per venire accettato dagli altri. Come ha fatto dire Tarantino a Bill, Superman non è un eroe come tutti gli altri, perché lui non si mette una maschera per volare, lui si mette una maschera per vivere! Clark Kent è la maschera...dietro la quale spesso ci nascondiamo per paura di rivelare la nostra diversità. E in questo viaggio d'immedesimazione, Singer ci regala una perla, ci racconta la parte più intima di un alieno supereroe come nessuno ha fatto prima. E lo fa con maestria, dosando bene immagini, suoni, colori e parole. E alla fine, ci lascia con la speranza di un cerchio che si chiude, di un cammino intrapreso dal padre per il figlio che muta e si evolve, per tornare dal figlio al padre. Per dare un senso ad una vita così misteriosa e dal destino incerto, per ricordarci che chiunque di noi, alla fine, non è mai solo. Grazie Bryan, di più certamente non me lo sarei aspettato.
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