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ok, terza e ultima parte

 
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ok, terza e ultima parte - 2004-02-17 14:03:25   
Kiber

 

Messaggi: 168
Primo ingresso in Numenor: 2004-01-25
Status: offline
Ecco la terza parte, e l'ultima (l'ho messo tutto stavolta, anche se è un po' lungo)
Fatemi sapere cosa ne pensate...





Corse tra la folla, spingendo per farsi strada, con la vista annebbiata, travolgendo le persone. Lasciò la terrazza, la musica e le voci, si lasciò alle spalle la gente che la guardava senza capire.
Sola in un angolo buio, delusa da tutto, stette rannicchiata a pensare, guardando con disprezzo la terrazza lontana e la folla che festeggiava e urlava, quasi a voler coprire con quel frastuono il silenzio dell’oscurità che li avvolgeva, quasi per dimenticare, con quei discorsi, il buio, che li innervosiva e li agitava.
Guardò di nuovo il cielo, con disperazione e sguardo implorante, quasi a voler chiedere il perché di quello che provava direttamente alle stelle. Ma le stelle erano mute e fredde.
E gli occhi di Kiber fissavano il vuoto, senza neanche più lacrime. Non poteva piangere, perché non provava più niente, solo un’amara rassegnazione.
Tutti i suoi sogni non erano stati altro che questo: sogni. Creazioni di una mente che aveva ceduto al dolce sonno ed aveva vagato troppo in alto, ed ora doveva tornare sulla terra, doveva svegliarsi e guardare rassegnata la dura e piatta realtà.
I sogni non esistevano, la realtà non era come quella descritta nei libri. Forse i libri non erano altro che descrizioni di quegli inutili e insulsi sogni. Tutte bugie, tutto inventato; e lei come una sciocca ci aveva creduto.
Forse anche tutti quei paesaggi non erano mai esistiti, o se erano esistiti non erano così, forse non erano molto diversi dal mondo in cui viveva. Le emozioni descritte, profonde e complete, che vengono dal centro del cuore, lei non riusciva a provarle, e forse nessuno c’era mai riuscito, erano solo immaginazione, pura fantasia. Anche tutte quelle gesta e quei viaggi erano inventati, forse nessuno aveva mai combattuto per i suoi ideali, forse la gente era sempre stata come quella lassù sulla terrazza, orribilmente vuota.
E forse anche lei era vuota, se non riusciva a provare niente guardando uno spettacolo che fin dall’alba dei tempi aveva indotto le persone a guardare in alto, a sognare e a restarne affascinate, quello che secondo i libri trasmetteva sensazioni fantastiche. Ma era questo il punto: i libri non erano reali.
Si sentiva terribilmente fredda.
La disperazione si insinuò gradualmente nel suo cuore.
Tutto quel sogno era stato inutile, tutto ciò che desiderava nella sua vita non si sarebbe mai realizzato, semplicemente perché non esisteva; doveva rinunciare a voler provare qualcosa di impossibile e irreale.
Si sentiva soffocare. Non poteva fare niente, solo rassegnarsi a lasciarsi trasportare come una foglia dal vortice degli eventi e dei giorni sempre uguali, da quel qualcosa che aveva deciso la sua vita per lei. Sorrise amaramente di quel paragone: le era venuto spontaneamente, forse preso da qualche libro. Ora le foglie non esistevano più, non potevano più nemmeno volare con il vento… E i sogni delle persone probabilmente erano morti con quelle foglie.
Che senso aveva la vita, quella vita di cui non era padrona, che senso aveva se aveva perso ogni scopo, se anche i sogni non avevano senso?
Appoggiò la testa sulle ginocchia, mentre tutti questi pensieri le vorticavano nella mente, e lei si sentiva sempre più perduta.

Alzò gli occhi, destata da un rumore improvviso, come chi si sveglia lentamente dal sonno e diventa consapevole del mondo intorno a sé. Immersa nei propri pensieri non aveva sentito dei passi avvicinarsi.
Si alzò di scatto. Davanti a lei stava un’ombra illuminata solo dalla luce delle stelle, un uomo dai capelli neri e dalla carnagione leggermente scura. Occhi scurissimi e profondi la fissavano.
“Scusi, non sapevo che non si potesse stare qui, ora me ne vado…” disse, ancora confusa e impaurita, desiderosa di andarsene, che nessuno la vedesse piangere, tanto meno un dipendente di quell’odioso hotel.
Fece per correre via.
“No!”
Lei si voltò, incontrando di nuovo quegli occhi.
“Non è proibito stare qui. Ci sto anch’io…” disse lui sorridendo.
Kiber lo osservò: ora che lo guardava non le sembrava più un’ombra paurosa, qualcuno venuto a rimproverarla; non era neppure tanto alto come le era sembrato, e sembrava molto giovane, anche se non riusciva a dargli un’età: era strano, con quei capelli scurissimi, mossi e mai fermi, quella pelle, quegli occhi leggermente in su che sembravano sempre sorridere, e tuttavia erano seri e profondi, terribilmente profondi, sembravano racchiudere il mondo.
“Ma… io pensavo che lei fosse… che tu fossi… cioè, che…” farfugliò, tacendo poi, imbarazzata. Stava solo facendo discorsi da stupida.
Anche lui stava in silenzio, ma sorrideva ancora. Kiber si odiò per quegli insulsi discorsi, chissà perché davanti a lui non sembravano appropriati, chissà perché davanti a lui non voleva apparire come una di quelli sulla terrazza, chissà perché le importava tanto.
“Ti ho vista correre via dalla terrazza…”
“Già…”
“Anche da qui si vedono bene le stelle… Ti piacciono?” Si voltò verso il cielo.
“Beh, è uno spettacolo bellissimo, ma…”
“Ma non è altro che questo: uno spettacolo” concluse lui.
Lei lo guardò di nuovo, stupita.
“Lo si può vedere tutti i giorni anche da una stanza qualsiasi dell’hotel” continuò lui “L’occhio che lo guarda ne è meravigliato come è meravigliato dagli effetti speciali degli schermi, ma le stelle rimangono lassù nel cielo, non scendono per entrarti nel cuore, sono mute, non comunicano niente, fredde e tristi se ne stanno lassù come stanchi animali chiusi in gabbia, a brillare per una folla che non le capisce, e in questo modo la loro luce resta prigioniera, non penetra nelle anime degli uomini, e questi non provano nessuna emozione. Guardando questo cielo non mi perdo nella sua profondità…”
“Queste stelle non ti portano a viaggiare nel centro dell’universo, non ti trattengono lo sguardo come in un incantesimo, non ti inducono a riflettere sull’esistenza, sull’immensità, sull’infinito… queste stelle non ti guardano neanche. Distolgono lo sguardo, sdegnate perché sono tenute prigioniere, si chiudono nella loro bellezza, lasciando sola la gente, che non sente il loro profumo, assordata da rumori e inutili parole non riesce ad udire la loro musica, la gente che anche al buio è accecata dalla luce”.
Kiber era rimasta bloccata. Non riusciva a credere di stare udendo i propri pensieri uscire in parole dalla bocca di qualcun altro.
“È proprio così…” si avvicinò, e guardò anche lei oltre la ringhiera: “Il cielo è immenso… ma non trasmette immensità; le stelle sono magnifiche, ma non trasmettono la loro bellezza, sono gioiose, ma non trasmettono gioia; vedi l’universo infinito che racchiude tutto, ma non te ne senti parte. È tutto come prima, grigio, solo con una superficiale spennellata di colore. Non pensavo fosse così”.
“Già, e pochi se ne accorgono. Pochi si rendono conto che manca qualcosa. Solo chi ha sogni e desideri più profondi del mondo razionale riesce a percepire questo vuoto” rispose lui.
“Come ti capisco!”
“Lo so”.
Kiber lo fissò, accigliata.
“Altrimenti non saresti corsa via in quel modo” spiegò.
Kiber capiva sempre meno. Provava curiosità mista a timore: chi era quel misterioso individuo, quel ragazzo dai capelli color notte che sembrava poter leggere nei suoi pensieri? Chi era lui, che le spiegava quello che nemmeno lei sapeva spiegare a sé stessa, le sue riflessioni più intime?
Voleva chiederglielo, voleva sapere, ma ne aveva anche paura, e per qualche inspiegabile motivo sentiva che la risposta non sarebbe stata importante. Ma voleva ascoltarlo ancora, chiedergli perché era diverso dagli altri, chiedergli come faceva a conoscere i suoi pensieri…
“Perché sei venuta qui?” la precedette lui.
Lei pensò un attimo; poi decise di aprirsi, desiderosa di sfogarsi e di capire:
“Era il mio sogno. Il mio desiderio più grande. Vedere le stelle. Ne ho letto sui libri, descrizioni fantastiche dei cieli di epoche passate, che fanno provare emozioni forti e vere”.
Si voltò, vide che lui la ascoltava e continuò:
“Ma a quanto pare i libri sono solo fantasia, non descrivono la realtà. Quelle emozioni non esistono, quel mondo non esiste. Pensavo che quando avessi visto le stelle avrei provato una felicità immensa, non la felicità di un momento, superficiale, come si prova spesso nella vita, ma la felicità pura, intima, quella che viene dal profondo del nostro essere. Questo era il mio desiderio”.
“E il tuo desiderio l’hai abbandonato?”
“È un desiderio irrealizzabile. Non riesco a trovarla quella felicità, neanche nello spettacolo più meraviglioso del mondo. Non sono in un libro, il mondo è questo, grigio e spento, e io devo viverci”.
“Ma come puoi vivere senza sogni?”
“Non lo so, non lo so! Ma i sogni non sono veri, tanto vale che mi ci abitui. Devo smetterla di voler provare qualcosa di impossibile”.
“Un sogno è irrealizzabile solo se non ci credi abbastanza”.
Kiber scosse la testa. Ma intanto cominciava a sentirsi meglio, e si chiedeva cosa l’avesse indotta a confidarsi completamente con uno sconosciuto.
Forse perché nessun altro capiva. Forse perché in lui c’era qualcosa di diverso, in quegli occhi scuri non c’era rassegnazione, ma una luce, una luce di soddisfazione e consapevolezza, una luce che sembrava un frammento di stella.
“Chi sei?” chiese infine.
Lui restò in silenzio.
“È una domanda strana” disse poi sorridendo “Sono io. Solamente e nient’altro che quello che hai davanti. Sono una persona normalissima. Solo… sono uno che non ha smesso di sognare”.
Kiber non sapeva cosa si era aspettata con quella domanda. Tutto quello che stava accadendo, quello strano incontro, le sembrava sempre più assurdo, quasi fosse un’altra dimensione. Non sapeva cosa si era aspettata dalla risposta. Ma capì che in effetti era quella la risposta, e qualsiasi altra cosa non era importante.
“Come puoi continuare a sognare vivendo in questo mondo?” disse, mentre stava quasi per piangere.
“Io ho visto le stelle”.
Kiber lo guardò senza capire. Cosa stava dicendo?
“Ma le ho viste anch’io! Sono qui, davanti a me, e non è cambiato niente!”
“Lo so, ma non intendevo queste. Io ho visto quelle vere, quelle dei libri, quelle che ti fanno mancare il fiato…”
“E queste cosa sono? Ci sono altre stelle? Com’è possibile, cosa stai dicendo?”
“No, sono sempre le stesse, ma… è difficile da capire se non le hai viste…”
Kiber ammutolì. Ma intanto la barriera grigia di scetticismo e rassegnazione si stava togliendo dai suoi occhi, e lei riusciva di nuovo a scorgere il suo sogno.
“E dove? Dove le hai viste?”
Quello sconosciuto stava riaprendo il suo cuore, le stava ridando speranza, e lei se ne nutriva, affamata e sperduta, si aggrappava a lui…
“C’è un posto… a qualche giorno da qui…”
A qualche giorno? Cosa significava?
“Se vuoi ti ci porto”.
Kiber spalancò gli occhi e restò di nuovo bloccata. Quel ragazzo aveva il potere di sconvolgerla continuamente con risposte imprevedibili! Avrebbe realizzato il suo desiderio? Poteva veramente seguire quel perfetto estraneo?
“Allora?”
In quel momento Kiber udì la sua bocca esclamare “Sì”, comandata dal cuore che aveva ripreso a sognare, mentre la mente cercava di convincerlo che non era una cosa sensata, che non doveva fidarsi, che non poteva partire così… Ma il cuore aveva preso il comando.
“Allora okay. Sei qui da sola?”
“No, con i miei…” ecco, questo era un altro problema “Oh, ma non mi lasceranno mai!”
Silenzio.
“Vuoi veramente venire?”
“Con tutta me stessa”.
“Allora io sarò qui domani all’alba. Portati vestiti pesanti, qualcosa da mangiare e buone scarpe. Andiamo a piedi”.
Kiber non rispose, nulla ormai la meravigliava più. Se anche lui le avesse detto che ci sarebbero andati a dorso di un drago, le sarebbe sembrato perfettamente normale. Annuì.
“Allora a domani” salutò lui.
Lei lo guardò allontanarsi. Non sapeva perché gli aveva detto che sarebbe venuta, non sapeva perché, ma si fidava di lui. Forse erano proprio i suoi occhi: dentro a quelle profondità scure c’era una scintilla di speranza, che l’aveva colpita. Voleva seguirlo.
Si allontanò, verso l’hotel, mentre le luci cominciavano a riaccendersi, e la gente sciamava fuori dalla terrazza. Poi, presa da un pensiero improvviso, si girò e tornò sui suoi passi.
“Ehi, aspetta!” gridò.
Lui si voltò.
“Come ti chiami?”
“Darjahl”
Il nome risuonò nell’aria, sospeso, come un sussurro che si ripeteva in mille echi nella mente di Kiber. Pensò che quel nome pronunciato in un soffio, dal suono duro e dolce insieme, non poteva essere più appropriato per quel ragazzo misterioso che era comparso così dolcemente e impetuosamente nella sua vita.
“Io sono Kiber…”

Un’onda di voci e di persone la investì, luci abbaglianti la accecarono. Il cielo era tornato grigio e rossastro, impenetrabile, come un velo opaco.
Passò tra la gente senza vederla, rispose alle domande senza ascoltare. La sua mente era su un altro piano, non era rivolta a quel momento, ma a tutta la sua vita e i suoi sogni, che sembravano aver portato tutti a quell’incontro, e le apparivano ora come pensieri confusi e sbiaditi, mentre una luce indicava verso l’alba, il mattino dopo.
Un nodo le stringeva la gola. Quello che stava per fare era una pazzia. Ma proprio per questo l’avrebbe fatto.
Si coricò con l’intenzione di non dormire, poiché quel nodo alla gola gliel’avrebbe impedito. Ma scivolò in un sonno dolce e tranquillo, pervaso di stelle e di capelli color notte.

Si svegliò prima dell’alba. Dalla sua stanza avrebbe voluto guardare fuori dalla finestra, osservare la tranquillità del mattino che precede una partenza. Ma l’hotel non aveva finestre, non servivano a niente. Sospirando, fece per accendere la luce, ma cambiò idea: avrebbe potuto svegliare qualcuno.
Al buio, con la sola compagnia del suo respiro, veloce per l’emozione, si infilò in silenzio una giacca e scarpe pesanti, mise in uno zaino una tuta che usava per sciare, altri abiti caldi e qualcosa da mangiare.
Si fermò, sospirando. Dove credeva di andare equipaggiata in quel modo? Anzi, aveva una minima idea di dove stava andando?
“In ogni caso ormai è troppo tardi per rinunciare. Se non vado me ne pentirò per tutta la vita”.
La sua mano era ormai sulla maniglia della porta. Fece un respiro profondo e la aprì.
Camminò per i corridoi vuoti e lunghi, i suoi passi che riecheggiavano nell’edificio, che la precedevano e la seguivano, perforando il silenzio, ripetendosi in echi ritmati, angoscianti. Il nodo in gola si era ingrandito: alla paura di restare nuovamente delusa, di veder infrangere nuovamente il castello di sogni che con fatica aveva ricostruito, si univa il timore di venire ingannata, la paura di quell’individuo misterioso. Conosceva il suo nome, ma questo bastava?
Eppure il suo cuore le diceva che Darjahl non l’avrebbe delusa.
Scese le scale di sicurezza, lentamente per non fare rumore, ed uscì all’aperto, sempre con l’eco dei suoi passi che l’accompagnava, creandole attorno un’atmosfera irreale, come se lei fosse solo un’osservatrice, che guardava una sé stessa di un’altra dimensione camminare verso una meta che non conosceva.
Raggiunse il luogo dell’incontro. Sembrava diverso dalla sera prima, ora era tutto chiaro, e poteva vedere i monti. Già, i monti… se era ancora possibile scorgerli dietro alle forme squadrate del progresso, sotto il cemento che dopo aver ucciso le foreste stava cercando di soffocare la terra.
Una ragnatela di strade copriva la valle, in lontananza si vedevano le distese di città, mentre nelle vicinanze villaggi turistici ed hotel lampeggianti; dove finiva la valle grossi tunnel squarciavano le montagne, e veicoli sfrecciavano come proiettili nel loro cuore; ovunque ascensori e attrezzature salivano sulle cime, appiattite e coperte da terrazze e piste di atterraggio.
Kiber cercò con la mente di cancellare tutte quelle cose, come sporco su un meraviglioso disegno, di ripulire il paesaggio per vederlo come lo vedevano nel passato.
Respirò l’aria pungente. In passato lì faceva molto più freddo, le temperature sarebbero state insostenibili; la gente lottava per scalare quei monti…
Ora l’immagine nella sua mente era vivida e quasi reale, rivedeva le foreste e le cime coperte di neve, il sole dai riflessi dorati e argentei.
Sarebbe andata avanti, ad ogni costo.
Non voleva permettere all’umanità che aveva distrutto quei luoghi di distruggere anche i suoi sogni.
“Sapevo che saresti venuta” Darjahl era spuntato all’improvviso, trovandola nuovamente immersa nei suoi pensieri.
Kiber non rispose. Non ce n’era bisogno.
Guardarono il sole salire rossastro e opaco all’orizzonte.
“Non avevo mai visto un’alba…”
“Credi nei segni? L’alba era considerata segno di inizio, di rinascita, portava serenità e speranza…”
Quel sole, seppur pallido e timido, si innalzava comunque nel cielo, come aveva sempre fatto, dall’inizio dei giorni, e ora illuminava il loro cammino.
“Forse ci potrei credere…”

Lo seguì alla stazione delle cabine, unico mezzo, oltre agli aerei e ai jink, per spostarsi da quel luogo. Le cabine viaggiavano in linea retta, sospese sopra e sotto le montagne, e funzionavano per tutto il giorno e tutta la notte. Lui le fece segno di salire, mentre selezionava la meta sul computer di controllo. Poi salì e partirono.
“Dove andiamo?” chiese Kiber, mentre guardava le pareti lisce e vuote della cabina, senza poter vedere fuori, e non senza una certa apprensione.
“Raggiungiamo la strada, poi proseguiremo a piedi”.
“A piedi? Ma come, sulla strada…?”
non fece in tempo a sentire la risposta, perché la cabina si era fermata e aperta, e Darjahl sorridendo le aveva preso la mano e si era messo a correre. Lo seguì nella corsa attraverso la zona di servizio quasi deserta, fino alla strada, e più avanti su di essa, veloci per non farsi vedere; si fermarono soltanto quando furono abbastanza lontani.
“Sei matto?! Non si può entrare a piedi sulla strada!”
“Lo so, ma dobbiamo passare di qui”.
Kiber, ansimante per la corsa, lo guardò sorridendo e scuotendo la testa. Camminarono lentamente su quella strada grigia, lunga e dritta. Ogni tanto qualche veicolo sfrecciava loro accanto, quasi senza vederli, per la troppa velocità. Passata la paura per il pericolo che correvano camminando sulla strada, Kiber guardò Darjahl che camminava davanti a lei, con passo spedito e costante, eppure estremamente lento in confronto all’ipervelocità di quei veicoli; rise, immaginandosi come poteva vederla la gente, e si sentì immensamente stupida, a camminare tranquillamente là dove tutti passavano sfrecciando e senza pensarci, un minuscolo puntino sull’enorme ragnatela di strade.
Ma ora si sentiva libera, non più legata a macchine e mezzi di trasporto, libera di camminare su quella striscia grigia per tutto il tempo che voleva, quasi immobile in confronto al mondo attorno che si muoveva con ritmo frenetico.
Rise, e Darjahl si voltò e i loro sorrisi si unirono: erano soli al centro del vortice di quel mondo che girava loro attorno, al centro dell’uragano, dove finalmente c’era calma e tutto era fermo, aspettava solo i loro passi.

Percorsero alcuni chilometri, e infine Darjahl si fermò. Sul lato della strada c’erano cancelli chiusi, sbarrati da reti e da barriere. Cartelli di pericolo vietavano il passaggio, muri e serrature cadenti sbarravano l’accesso a quella che sembrava una vecchia strada.
Darjahl saltò agilmente su un rialzo, un pezzo di muro caduto, e poi in cima alla barriera, dove il reticolato era rotto. Tese la mano a Kiber, che la prese senza esitare e si issò anche lei sul muro, chiedendosi cos’altro lui avesse in mente.
Proseguirono per un po’ su quella strada, finché anche l’asfalto finì, e deviarono su un sentiero sterrato. La civiltà si allontanava, attorno a loro non c’era niente e nessuno.
“Questi sono vecchi sentieri abbandonati, nessuno se ne cura, nessuno li percorre più” spiegò Darjahl, riferendosi a quei tratti di strada, nascosti da rocce e detriti, per niente battuti. “Portano ad una zona che è stata esplorata e percorsa palmo a palmo nel passato, durante le grandi esplorazioni, sfruttata fino in fondo. Ma è completamente priva di risorse, troppo in alto per poter costruire agevolmente, troppo in basso per poter essere meta turistica. D’altronde i turisti non verrebbero mai qui, non c’è nessuna attrazione, il paesaggio è quello che è, spoglio, deserto e freddo, senza alture mozzafiato, o cascate e rocce spettacolari. Il terreno è troppo aspro e irregolare, troppo in pendenza, non valeva la pena di costruire, inutile sprecare energie, sono luoghi troppo squallidi e anonimi. Sono stati dimenticati, quasi cancellati dalla carta geografica, appartengono a gente che non sa neanche di averli”.
Kiber si guardò attorno: il sentiero saliva dritto verso la cima, nella desolazione più totale, anche a causa delle nubi tetre che coprivano il cielo; il paesaggio non avrebbe potuto essere più aspro e vuoto.
“Non c’è proprio nessuno… Ma tu come hai scoperto questo posto?”
“Me ne sono innamorato. Da quando vivo qui. Scappavo, continuamente, a piedi, per cercare solitudine, per cercare silenzio, per sentirmi libero. Per vedere finalmente le stelle… e così l’ho trovato, conosco queste zone come le mie tasche ora, qui vive il mio cuore”.
Kiber guardò di nuovo le rocce imponenti ed aspre, guardò i resti di frane ovunque, quel deserto senza rumori, guardò un piccolo squarcio azzurro nel cielo.
“È bellissimo, affascinante. Hai ragione, qui mi sento libera…”
Accelerò il passo, presa dall’entusiasmo, e superò Darjahl. Ora si fidava di lui completamente, lui l’aveva portata in quell’oasi al centro del ciclone, in quella meravigliosa desolazione.
“Avanti, andiamo! Portami a vedere le stelle!”

Proseguirono per ore, respirando finalmente aria più libera, circondati solo dai monti. Il sentiero era sempre più dissestato e ripido, si inerpicava per stretti passaggi, a tratti scompariva, perdendosi nelle valli rocciose, lasciandoli camminare in linea retta, apparentemente senza meta. Kiber non capiva come facesse Darjahl a sapere dove andare, a ritrovare sempre il sentiero o una direzione da seguire. Non voleva ammetterlo, ma cominciava a sentirsi esausta, non era abituata a camminare, e ormai era da tanto che non si fermavano. Sperava che la destinazione fosse vicina. Inoltre il cielo non accennava a rasserenarsi, le nubi erano sempre più scure; cominciava a sconfortarsi, ad avere paura: lì erano completamente soli e abbandonati a loro stessi. E poi se il cielo rimaneva così, come avrebbero fatto a vedere le stelle? Sarebbe stato tutto inutile!
“Stai tranquilla, devi avere pazienza. Vedrai che andrà tutto bene! Tra poco faremo una sosta”.
Ma come faceva ad indovinare sempre quello che stava pensando? Kiber cercò di replicare, di dire che non era stanca, ma si fermò a metà di una frase, scuotendo la testa, sconfitta. In effetti non era molto difficile capire come si sentiva, non serviva il potere di leggere nel pensiero: procedeva ansimando, accaldata e stanca, sempre più lentamente. Si vedeva perfettamente che non aveva mai camminato tanto!
Guardò la traccia del sentiero davanti a lei, in mezzo ad piana coperta di erba rinsecchita, sotto la parete scoscesa e imponente della montagna; sembrava continuare all’infinito.
Eppure poco dopo, sorpassato un piccolo dosso, vide una strana costruzione di mattoni e metallo, vecchia e apparentemente cadente. Lì finalmente si fermarono.
“Benvenuta al mio campo base!” annunciò Darjahl, aprendo la porta e invitandola ad entrare.
“Tuo? L ’hai ristrutturato tu?”
“Esatto. Questa è una delle mie numerose dimore, la partenza e il ritorno, il punto d’appoggio da cui iniziare i miei vagabondaggi”.
Kiber si sedette, sfinita, e osservò quel vecchio edificio in disuso che era stato trasformato in una piccola base accogliente: tutto intorno c’erano carte, attrezzature e corde, scorte di cibo, e una specie di vecchio focolare in un angolo.
“Così questa in un certo senso è casa tua… e quali sono le altre tue numerose dimore?” chiese, stupita.
“Sono tante… i dossi spazzati dal vento, gli anfratti rocciosi, le cime che puntano verso il cielo… il cielo stesso, le nuvole e l’aria, i fulmini e gli alberi solitari in mezzo ad una valle…”
“Non sai quanto ti invidio…”
Mangiarono e si riposarono, per poter ripartire nel pomeriggio. Kiber non chiese quanto mancava e quando sarebbero arrivati: l’avrebbe visto quando sarebbe stato il momento.
Darjahl stava caricando nello zaino provviste e attrezzature; lanciò una coperta a Kiber, e prese della legna.
Kiber sbarrò gli occhi: dove aveva trovato tanta legna? Gli alberi erano quasi scomparsi, si trovavano solo in qualche piccolo parco, anche se ormai la maggior parte era finta. “Dove l’hai trovata?”
“In giro, posti che ho scoperto. Gli alberi qui non sono ancora scomparsi del tutto, dopo che l’uomo si è dimenticato di questi luoghi ogni tanto qualche seme riesce ad annidarsi nella terra seccata e torturata, e a germogliare”.
Uscirono, e Kiber osservò quella valle, vide un piccolo rigagnolo d’acqua che scorreva sull’arida roccia poco lontano, e accanto a questo qualche esile cespuglio, e perfino alcuni alberi solitari, vivi per qualche miracolo, ma dritti e orgogliosi; vide il sentiero, che saliva ripido… E tutto questo le trasmise una speranza che scaldò il suo cuore, una speranza che andava al di là di quanto poteva comprendere, forte e viva.
Si fermarono ai piedi del sentiero.
“Qui inizia il viaggio, da qui parte la strada. Non sarà facile, credo che tu lo sappia, sarà faticoso e duro, perché sia la montagna che i grandi sogni richiedono pazienza e sacrificio. Ma proprio per questo la meta apparirà più bella e importante, sarà una parte del nostro cuore che era stata strappata ed ora viene riunita, riempiendo il petto di fuoco”.

E mentre camminavano Kiber ripensava a queste parole, e ogni tanto guardava indietro, verso la valle e le città, verso l’hotel pieno di gente che non capiva, verso il frettoloso biglietto lasciato ai suoi. “Non preoccupatevi, torno tra pochi giorni. Sono andata a rincorrere il mio sogno”. E l’avrebbe trovato, non importava quanto ci avrebbe messo. Il resto del mondo poteva aspettare in eterno, lei era felice di essere lì, e finalmente si sentiva padrona del proprio destino.
Camminava tranquilla e sicura, senza badare alla stanchezza, solo godendosi quelle nuove sensazioni. Ogni tanto Darjahl le parlava, rispondeva alle sue domande, o riflettevano insieme, scambiandosi emozioni e pensieri. Ma per la maggior parte del tempo procedevano in silenzio, lieti della reciproca compagnia, e coscienti dei pensieri dell’altro senza doverli esprimere a parole. Kiber scoprì di apprezzare moltissimo come lui le camminava accanto in silenzio, lasciandola pensare, lasciando che quei luoghi le entrassero nel cuore. Nel mondo che si era lasciata alle spalle ormai la gente non faceva altro che parlare, o ascoltare musica o programmi o voci, nessuno sapeva stare semplicemente in silenzio, a respirare, il silenzio faceva paura, metteva a disagio, e bisognava subito riempirlo. Ma quel silenzio era pace, era serenità, era profonda comprensione, era più pieno di qualunque discorso. La loro musica era il vento, e senza le parole loro si capivano all’istante, completamente e intensamente, a Kiber bastava solo guardare dentro a quegli occhi nerissimi.

Attraversarono valli e passarono monti, senza fermarsi, senza essere stanchi, anche vedendo le nuvole sempre più scure e basse, e il sole che stava calando dietro l’orizzonte. La temperatura iniziò a diventare più fredda e cominciarono a scendere grosse gocce di pioggia. Kiber cominciava a crollare, sfinita, ma aveva totale fiducia in Darjahl, e lo seguì, sicura che avrebbe trovato un riparo.
E infatti lui sapeva dove andare: trovarono rifugio in una vecchia galleria, ormai cadente, che in passato attraversava la montagna da parte a parte. Entrarono, mentre i tuoni rimbombavano dietro di loro.
Le pareti di cemento sembravano fragili e inadeguate, stavano crollando a poco a poco, e l’acqua filtrava tra le crepe nella roccia, in uno sgocciolio continuo. Darjahl si avvicinò ad un cerchio di pietre.
“Anche questa si può chiamare casa”.
Spossati per l’ultimo tratto di strada percorso quasi correndo, inumiditi e infreddoliti dalla pioggia, si lasciarono cadere per terra, nell’angolo accanto al cerchio di pietre, dove Darjahl accese un piccolo e debole fuoco. Kiber osservava attentamente tutti i suoi movimenti, come sistemava la legna, come accendeva il fuoco con un vecchio accendino. Lui le insegnò, e mentre scendeva il buio cenarono e si coricarono alla luce di quella piccola fiamma, mentre la pioggia scrosciava fuori dalla galleria, cullando il loro sonno. Kiber si raggomitolò nella calda coperta, con tutti i muscoli doloranti, assaporando quella dolce stanchezza, quel lento abbandonarsi al sonno, rilassando il corpo stanco, semplicemente felice.

La mattina si alzò, più indolenzita che mai, ma pronta a ripartire, certa che avrebbe potuto vivere così per sempre, che lì i giorni non sarebbero mai stati sempre uguali e monotoni.
“C’è una scorciatoia che ci farà risparmiare tempo” annunciò Darjahl “te la senti di passare nelle grotte?”
Kiber sorrise, la risposta era ovvia.
La condusse più a fondo nella galleria, dove un tratto di parete era crollato, aprendo la strada ad un labirinto di grotte e cunicoli. Avanzarono nel buio, con le torce che illuminavano il loro cammino, piegandosi, scivolando, camminando nell’acqua e a volte strisciando, rasenti al soffitto, senza fiatare, immersi in quell’atmosfera oscura e quasi magica, posando i piedi con estrema attenzione, ascoltando le gocce e i sussurri del vento.
Infine uscirono, e la luce del sole li investì, rivelando ai loro occhi un paesaggio incantato, creato da rocce appuntite e dirupi vertiginosi, da aspre cime, da solitari alberi irrealmente verdi, che contrastavano con il colore perlaceo della terra, quasi lunare. Tutto era avvolto dalla luce opaca ma decisa del sole, velata dalle nuvole che correvano nel cielo bianco.
Kiber camminava ammutolita per la meraviglia, riempiendosi gli occhi di quei luoghi, senza sapere cosa dire o cosa pensare.

“Il mondo non è ancora soffocato del tutto…” sussurrò, mentre avanzava tra i massi, arrancava sulle salite, saltava tra le rocce.
“La terra urla che vuole vivere, e finché esisterà anche un solo centimetro libero, neanche i sogni moriranno” mormorò Darjahl.
“Pensavo che i sogni non esistessero, che i libri fossero solo fantasia. Ora mi sembra di vivere una di quelle storie, e tutto mi sembra possibile… forse è sbagliato, forse resterò nuovamente delusa”.
Darjahl non rispose, la lasciò continuare, ascoltandola.
“Eppure non mi importa. Non so cosa succederà dopo, so solo ciò che avviene adesso, e questo può bastare. Io voglio vedere le stelle, e per ora non so altro”.
“Non lasciare sfumare i tuoi sogni, mai. Inseguili fino in fondo, non fermarti di fronte a niente…”

“Darjahl, tu credi che la vita abbia un senso, un significato più profondo di quello che vediamo?”
Lui rifletté, volgendo il viso verso il cielo, lasciando che il vento gli sfiorasse il volto.
“Io sono convinto di sì. Non so dire perché, non ti so spiegare cosa me lo fa sentire. Ma lo sento, credo che esista qualcosa di più, un destino, un Dio, un principio di tutto. Un senso dell’esistenza che l’umanità ora si dimentica di cercare”.
“A volte ho paura, una paura folle, che si insinua nei miei pensieri. Una paura del vuoto. Se anche vedrò le stelle, che senso avrà avuto? Poi cosa succederà, tutto il mio essere ora è teso a questo sogno, e quando si avvererà riprecipiterò nel nulla, il resto della mia vita non avrà più senso, e quel desiderio non sarà stato altro che il capriccio di una bambina…”
Lui la prese per mano per aiutarla a salire in un passaggio difficile, issandola accanto a sé.
“C’è un senso, ognuno lo deve trovare per sé, e non è detto che debba essere razionale. Tu lo troverai, anche se la tua mente non capisce, tu lo sentirai”.
La fissò negli occhi, intensamente, e lei si lasciò stregare da quello sguardo che le sorrideva sempre, anche se profondo e serio. Si alzò e riprese il cammino…

Attraversarono vallate, dossi e creste, che si susseguivano, in catene di pareti scoscese e cime, distese desolate di pendii rocciosi. Nel silenzio di quell’oasi abbandonata avanzarono su sentieri stretti o nascosti, si arrampicarono su cenge sospese sopra il vuoto; ad ogni passo un nuovo orizzonte si apriva loro davanti, orizzonti di pietre e di vette taglienti che puntavano verso il cielo.
Kiber era stremata, le gambe non la reggevano quasi più, e in alcuni momenti le vertigini per poco non la facevano crollare. Ogni volta che alzava lo sguardo vedeva il ripido, interminabile sentiero davanti a sé, che saliva, sempre più in alto… e andava avanti, con il vento che le sferzava il viso, arrampicandosi con le mani. Per alcuni tratti si lasciava tirare su da Darjahl, e legati ad una corda restavano in equilibrio sulle strette cenge, in balia del più piccolo soffio di vento.
Faticando a respirare, senza più neanche la forza di pensare, Kiber guardava il cielo: le grigie nubi cominciavano a diradarsi, il cielo si rasserenava, e dagli squarci di un tenue azzurro filtravano i raggi del sole, che stava scendendo dietro le guglie appuntite, pervadendo tutto di una luce da fiaba, dolcemente calda e terribilmente fredda nello stesso tempo.
Darjahl sorrise:
“Stanotte ci sarà un cielo stupendo…”
La prese per mano: “Su, coraggio, non manca molto!”
Il vento cominciava a calare, ora c’era solo una brezza pungente, mentre la temperatura scendeva. Kiber guardò giù: erano terribilmente in alto. Ma quella notte avrebbe visto le stelle, le avrebbe viste veramente, come le aveva descritte Darjahl… il suo cuore batteva per l’emozione, e la esortava ad ignorare la stanchezza e ad andare avanti. Erano quasi giunti al passo, mancavano pochi metri…
Lì finalmente si ripararono sotto una sporgenza, e restarono immobili, ad ascoltare i loro respiri e il sole che scendeva dietro l’orizzonte.
“E così ora realizzerai il tuo sogno…”
Respiri, pensieri…
“Già… fra un’ora o poco più sarà buio”.
Il sole era ormai scomparso, e restava solo il chiarore velato del crepuscolo.
“È questo il posto? È qui…?”
“Qui si vedono le stelle, certo… Puoi vederle benissimo da qui. Ma non è proprio questo il posto. Io andavo lassù… Se vuoi veramente realizzare pienamente il tuo desiderio, se vuoi sentirti toccare veramente nelle emozioni più profonde, devi proseguire ancora per un po’; da quell’altura la vista è unica, stupenda”.
Kiber fissò il punto che lui le indicava. Poteva farcela, non era troppo lontano; doveva farcela, e ce l’avrebbe fatta, senza alcun dubbio.
“Se lo desideri veramente ce la farai…”
Annuì: “Allora partiamo adesso!”
Si alzarono e cominciarono a sistemare gli zaini, a coprirsi per proteggersi dal freddo.
“Lassù c’è una piccola grotta, una cavità nella roccia, dove ci si può riparare. Non è troppo ventilato, e si accende con facilità un fuoco. E da lassù si domina tutto il paesaggio, per chilometri.”
Kiber era pronta in fretta, già sul punto di partire, stava osservando la via. Poi si girò, e vide che Darjahl le porgeva la sacca con la legna e un altro sacco a pelo.
Li prese esitante, indagando nelle profondità degli occhi di lui, improvvisamente consapevole.
“Devi andare da sola”.
Lei annuì. Lo sapeva, era ovvio.
“Io ti ho accompagnata fin qui, ma l’ultimo tratto, l’ultima prova, la devi superare da sola. Il sogno è il tuo, di nessun altro, ed è con le tue forze che devi raggiungerlo, con il tuo cuore che devi condividerlo…”
La guardò respirare profondamente, riflettendo ancora anche se sapeva benissimo cosa fare.
“Ce la farai”.
Lei alzò il viso, risoluta, raccolse la legna e la coperta e le infilò nello zaino, che si mise sulle spalle.
“E tu cosa farai?” chiese, con una punta di panico e angoscia nella voce. Ora che l’aveva incontrato, si accorse che non voleva perderlo, si accorse che oltre alla paura di restare sola in quei luoghi sconosciuti c’era la paura ancora più grande di allontanarsi dall’unica persona al mondo che l’aveva capita…
Darjahl sorrise di nuovo, con sguardo dolce.
“Io sarò qui. Sempre”.
Kiber rispose al sorriso, mentre il nero dei suoi occhi la sospingeva ad andare, verso il nero della notte stellata del suo sogno. Si ricordò che in quegli occhi aveva visto frammenti di stelle…

E così riprese la strada, distrutta da quella giornata durissima, ma decisa, piena di serenità e di speranza, con di nuovo il familiare nodo alla gola per l’aspettativa, o forse per le emozioni di quegli ultimi giorni. Non si voltò indietro, sapeva che Darjahl era lì.
E lei doveva raggiungere la cima, la sua meta, il traguardo finale.
Il cielo si faceva sempre più buio, i monti cominciavano a colorarsi di un grigio azzurro, e il minuscolo sentiero si alzava sempre di più, sempre più ripido e impervio, sempre più stretto, sull’estrema cresta di quell’altura. Kiber era esausta, e la cima le sembrava ad ogni passo più lontana, mentre il precipizio sotto di lei ad ogni passo più vicino.
Si concentrò sul mettere un piede davanti all’altro, con ritmo costante, per non scivolare sulla roccia polverosa, per non cadere. Non ancora.
Ma le gambe le tremavano, i muscoli erano doloranti e contratti per lo sforzo, lo zaino le pesava e le schiacciava le spalle, e il suo respiro sempre più difficoltoso; inoltre la temperatura non aveva smesso di scendere, e la leggera ma gelata brezza le penetrava sotto i vestiti, nella pelle e nelle ossa. Chissà di quanto erano saliti dal giorno prima? Quanto erano alti? Le vertigini la assalirono.
Non sarà facile, credo che tu lo sappia, sarà faticoso e duro, perché sia la montagna che i grandi sogni richiedono pazienza e sacrificio. Ma proprio per questo la meta apparirà più bella e importante…
Si ripeté più e più volte queste parole, andando avanti, lentamente, un passo dopo l’altro, aggrappandosi con le mani alle sporgenze nella roccia, trascinandosi su quella salita quasi verticale, usando tutte le forze che le rimanevano dentro, fermamente determinata.
“Sogno, sto arrivando” mormorò a denti stretti “ti ho quasi raggiunto”. Sorrideva.
E mentre il gelo le ghiacciava le gambe e le braccia, e la roccia le escoriava le mani, che sanguinavano sulla pietra, lei continuava a salire, tenendosi stretti quei pensieri.
Infine superò l’ultimo rilievo, l’ultimo nuovo orizzonte le si aprì davanti, e lei era in cima, sopra di tutto. Si lasciò cadere distesa a terra, mentre i muscoli bruciavano, pur se congelati, e il respiro si calmava. Pensò che sarebbe morta lì, che non sarebbe più riuscita ad alzarsi; ma aveva solo freddo, molto freddo.
“Kiber, ora ce l’hai fatta, ci sei, alzati! C’è la grotta, c’è la legna, alzati!” si disse.
Vide la grotta, un piccolo buco nella roccia su un’altura dispersa per le montagne, ma che le sembrava più accogliente di qualsiasi altro luogo. Casa.
Ormai si era fatto buio, e si vedeva a malapena attorno. Quanto aveva camminato? Un’ora, due?
Accese il fuoco, dopo molti tentativi con le mani immobilizzate dal freddo, ma alla fine una fiammella sprigionò dal legno, e lei la alimentò, avvicinò le mani, si scaldò e si avvolse nelle coperte.
Chiuse gli occhi, riuscendo solo a respirare e a gustarsi finalmente quel tepore. L’aria era completamente buia, non vedeva niente, attorno a lei tutto era nero e impenetrabile, vedeva solo il cerchio di luce del fuoco.
Guardava il fuoco, le leggere scintille che salivano verso l’alto… e in quel momento alzò gli occhi, seguendo le scintille, e le vide salire ad unirsi al cielo, al cielo nero intenso e lucente, alla volta stellata…
Le mancò il fiato, non poté fare altro che restare a bocca aperta a guardare, la testa piegata in alto, in estasiata contemplazione, come presa da un incantesimo. Le appariva un cielo immenso, infinito e avvolgente, tutto intorno a lei, punteggiato di miliardi di stelle, piccole luci bianche e luccicanti, grandi scie di galassie che attraversavano tutto il cielo, pianeti, e ancora stelle, stelle, a non finire. Poteva girarsi, guardare da una parte, dall’altra, senza essere mai stanca, senza rivedere qualcosa di già visto, senza capire dove finisse il cielo e iniziasse la terra, senza capire dove finisse il cielo e iniziasse lei.
Le stelle erano entrate nei suoi occhi, il cielo le era penetrato direttamente nel cuore.
Lì, nel buio, seduta a contatto con la terra, con i muscoli doloranti e distrutti ma esultanti, al freddo, riscaldata solamente da un piccolo fuoco, con solo la luce argentea delle stelle e quella calda e arancio delle fiamme a rischiarare quel buio impenetrabile, lì conobbe quella gioia pura, intensa, che veniva dal centro del suo essere.
Lì provò tutte le emozioni più vere e intime, lì si sentì sicura di tutto e parte di tutto. Provò la gioia e la meraviglia primordiale dell’uomo che si sente sovrastato dall’immenso cielo stellato; sola e in bilico su una cima, nel buio assoluto, si sentì finalmente viva; nello stesso tempo forte e padrona del mondo, che girava tutto attorno a lei, e nello stesso tempo solo una minuscola parte dell’immensità dell’universo che la circondava…
Sentì scendere dalle stelle quella parte del suo cuore che aveva perduto, e il suo petto si riempì di fuoco…
Lì vide la Via Lattea, le costellazioni, i pianeti… e viaggiò al centro dell’universo, salendo sulle stelle, volando, mentre queste scendevano per entrare dentro di lei. Si sentì intimamente parte di quell’infinito, in quel momento sentì che c’era un senso, che c’era un qualcosa, un tutto, forse un Dio. Scorse in quell’universo e nel buio di quelle montagne una bellezza perfetta e divina, non la capì ma la sentì profondamente, come un qualcosa che le pungeva nel cuore. Sentì che la sua vita era lì per qualcosa, senza sapere perché comprese il senso di tutto, che era dentro il nostro essere e non poteva essere comunicato a parole.
Sentì il calore divamparle in tutto il corpo, riempiendola di rinnovata speranza. Speranza nella vita, speranza nel mondo, speranza nei sogni. I sogni non possono morire, non lasciare che questo accada…
Pensò a cosa sarebbe successo dopo, e scoprì che non era importante. Pensò alla sua vita, al resto del mondo, a Darjahl, quel ragazzo misterioso dai capelli color notte che l’aveva portata a realizzare il suo sogno. Io sarò qui. Sempre. E la fatica e le difficoltà avrebbero sempre portato a quel fuoco nel petto, a quella notte stellata. Il dopo non importava.
Ora anche lei aveva negli occhi frammenti di stelle.
Si abbandonò alle sensazioni di quel vortice di piccole luci, all’esultante stanchezza, osservando ancora le scintille di fuoco salire ad unirsi alle stelle.
E lassù il suo sogno diventò libero e volò nel cielo immenso, e lei contemplò sognante una lunga e rapida scia che attraversava tutto il firmamento. Una stella cadente…


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ok, terza e ultima parte - 2004-02-17 14:59:45   
GwendydD


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Da: fiiiirenzeeee
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beh... sono senza parole
complimenti, kiber, è veramente un racconto bellissimo!


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(Risposta a Kiber)
Messaggio #: 2
ok, terza e ultima parte - 2004-02-17 16:49:27   
Taym


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Da: Valimar
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Splendido Kiber! Grazie di averlo condiviso con noi!


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(Risposta a Kiber)
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ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 14:32:14   
Kiber

 

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Grazie mille! Sono contenta che vi sia piaciuto!


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(Risposta a Taym)
Messaggio #: 4
ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 15:18:17   
Taym


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Primo ingresso in Numenor: 2002-07-07
Da: Valimar
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Posso farti un paio di domande?

Hai scritto altri racconti? Da quanto tempo scrivi?

Scrivi così bene... Come fai ad apprezzare Dragonlance? Ok, ok, questa era una battuta (sebbene effettivamente me lo chieda)


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(Risposta a Kiber)
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ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 15:34:31   
Kiber

 

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No, veramente è il primo racconto che scrivo...
però il mio sogno è scrivere un libro fantasy, ma ci vuole impegno e costanza, e con lo studio e tutto quanto non ci riesco... forse se mi ci metto d'estate...
Così mi sono limitata a scrivere questo racconto, anche perchè l'idea mi è venuta così, in un colpo solo, all'improvviso! è esplosa nel mio cervello, e ho dovuto controllarmi per non prendere subito un foglio e iniziare a scrivere!(anche perchè ero in montagna, di notte, e trovare un foglio sarebbe stato un po' difficile!eheh!)
Davvero scrivo bene? Non pensavo, che bello!


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(Risposta a Taym)
Messaggio #: 6
ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 16:37:24   
Taym


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Da: Valimar
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Davvero scrivo bene?

Senza dubbio meglio dell'autore di Dragonlance, il cui nome ho dimenticato. Non che sia un gran complimento
Cmq certo, continua!


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(Risposta a Kiber)
Messaggio #: 7
ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 16:47:39   
Kiber

 

Messaggi: 168
Primo ingresso in Numenor: 2004-01-25
Status: offline
quote:

Senza dubbio meglio dell'autore di Dragonlance, il cui nome ho dimenticato. Non che sia un gran complimento


Ma ce l'hai proprio a morte con Dragonlance, eh?
Sarà che mi è piaciuto perchè è stato il primo che ho letto...
Beh, è lo stesso, argomento chiuso. Ormai sono senza speranza, non piace proprio a nessuno, è inutile discutere!


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(Risposta a Taym)
Messaggio #: 8
ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 17:03:26   
Taym


Messaggi: 5400
Primo ingresso in Numenor: 2002-07-07
Da: Valimar
Status: offline
quote:

Ma ce l'hai proprio a morte con Dragonlance, eh?


Ma no, ma no, mi riallacciavo all'altro thread scherzando un pò. Non si discute dei gusti, naturalmente!

Tu però scrivi bene sul serio, per cui continua sul serio!


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(Risposta a Kiber)
Messaggio #: 9
ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 19:29:31   
Kiber

 

Messaggi: 168
Primo ingresso in Numenor: 2004-01-25
Status: offline
Grazie!

(anch'io stavo solo scherzando un po' comunque)


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(Risposta a Taym)
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ok, terza e ultima parte - 2004-02-18 20:07:47   
Arwen


Messaggi: 2891
Primo ingresso in Numenor: 2002-07-09
Da: Imladris
Status: offline
Bravissima Kiber!
Sono contentissima ke abbia finito il racconto e ce lo abbia fatto leggere praticamente subito!
Complimenti, è stato davvero bello seguire Kiber alla ricerca del suo sogno!


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(Risposta a Taym)
Messaggio #: 11
ok, terza e ultima parte - 2004-02-19 12:12:39   
anna


Messaggi: 170
Primo ingresso in Numenor: 2003-11-07
Status: offline
WOOOW BRAVA COMPLIMENTI altro che un bell raconto bella scritura


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حَنَــــانٌ

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(Risposta a Kiber)
Messaggio #: 12
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